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I vini dolci
Perché bere vino dolce?


Perché dobbiamo far uscire i grandi vini dolci d'Italia dalle "nicchie" di mercato di gusto ove sono ingiustamente relegati.
Dobbiamo ricordare, e insegnare a chi pare ignorarlo o averlo dimenticato, che il buon mangiare all'italiana resta un delicato e armonioso percorso tra il salato, l'amaro, l'acido e il dolce.


Perché quando diciamo dolce, diamo un’immagine di gioia, di serenità, di sentimenti buoni, di felicità, di amicizia; perché il dolce è dolce.

Come nasce il vino dolce


LPrima della fermentazione alcolica il mosto è in sostanza acqua zuccherata. Sarà poi l'azione dei lieviti a trasformare questi zuccheri in alcol. Per ottenere vini dolci basta pertanto limitare questo processo.
La tecnica più utilizzata è quella di interrompere la fermentazione quando si è formata la quantità di alcol desiderata, filtrare il mosto utilizzando filtri con maglie molto sottili per trattenere i lieviti, per farla ripartire nuovamente. Un'operazione che va ripetuta più volte e che sarà via via più debole e lenta.

Un discorso diverso va fatto per i vini passiti, che si ottengono mediante un appassimento, naturale o forzato, delle uve stesse che si arricchiscano così di zuccheri per effetto dell'evaporazione dell'acqua.
Raggiunto l'appassimento desiderato, l'uva viene sottoposta a una vinificazione in bianco eseguendo una fermentazione piuttosto lenta e a basse temperature per non provocare alterazioni aromatiche.

Qualche vino dolce famoso


BoatBuilding 2002MOSCATO PASSITO DI PANTELLERIA MARTINGANA Doc


SALVATORE MURANA


LA ZONA DI PRODUZIONE, IL VINO
UN PO' DI STORIA.

La storia dell'Isola di Pantelleria e delle sue Genti è caratterizzata sia dalle sue origini vulcaniche che dalla sua posizione geografica al centro del canale di Sicilia, tra l'Africa e l'Europa.
Più di 500.000 anni fa ebbero inizio le attività vulcaniche a cause delle quali emerse dal mare una parte dell'Isola, una porzione di natura tracheitica.
In seguito un'altra ondata di magma ne accrebbe l'estensione, definendone l'attuale conformazione. Quella che oggi si protende nel mare è solo la parte emersa di un edificio vulcanico sottomarino.
I Fenici la chiamarono Yrnm, isola degli uccelli starnazzanti, i Greci Kosyras, trasformata in Cossura dai Latini. Per gli Arabi era Al - Quasayrah, Kusirah, Quawsarah e poi Bent- el - Rhia, figlia del vento.
I Bizantini chiamarono l'Isola sia con l'antico nome di Cossyra, che con un nuovo appellativo, Pantelleria, con le sue varie forme: Pantalarea, Pantelarea, Pantalaria...
L'etimologia è oscura, ma pare risalire a patella, in altre parole piatto, scodella, larga coppa.
Sono stati gli Arabi durante il loro dominio, durato ininterrottamente alcuni secoli ad importare a Pantelleria il Moscato D’Alessandria, più comunemente chiamato “ Zibibbo”. Grazie a loro, valenti agricoltori, si è sviluppata a Pantelleria la viticoltura, ed ha inizio la produzione di uva passa; l’uva moscato come si sa è, infatti, molto aromatica anzi, fra le varietà esistenti in Italia, lo “Zibibbo” sicuramente è quello che esprime più profumi. Fino a metà dell’800 la produzione d’uva è rimasta marginale nonostante, persino Dumas Alexander, in un paio di sue opere citi il Passito di Pantelleria come vino d’assoluto pregio servito alla Corte dei Re di Francia. L’unico vino prodotto in quantità considerevoli (almeno per allora) era quello rosso. Vino rosso che oggi ritorna in maniera preponderante alla ribalta poiché da diverse prove, sia con varietà autoctone sia con vitigni internazionali, la terra dell’isola si è dimostrata altamente vocata alla produzione di tali vini. L’economia dell’epoca improntata essenzialmente alla sopravvivenza non consentiva uno sviluppo produttivo, le uve “Zibibbo” prodotte servivano in massima parte al fabbisogno delle famiglie; soltanto quando pioveva le uve messe in appassimento che andavano a male venivano utilizzate per l’ottenimento del vino passito cosi tanto apprezzato. Molto diffusa all’epoca era anche la produzione di leguminose, di orzo, frumento e di frutta secca (fichi ed uva passa); con l’unità d’Italia, i mercati nazionali scoprono l’uva secca passa di Pantelleria, esplode la domanda che mai nella totalità viene soddisfatta. Risale a quel periodo d’oro 1865-1925 l’espansione della viticoltura; a mano viene disboscata buona parte dell’Isola (circa l’80%) e trasformata in fertili terrazzamenti che insieme con i “Dammusi” caratterizzano il paesaggio rendendolo unico, mai però si è puntato ad una produzione vinicola. Subito dopo la fine della seconda guerra Mondiale, incomincia la decadenza che tocca il culmine con il finire degli anni 80. Da un decennio è in atto un’inversione di tendenza, grazie anche all’apporto di alcuni operatori del luogo che sono riusciti a far attenzionare nella giusta maniera sia il Moscato sia il Passito di Pantelleria. Nel corso degli anni è, infatti, andata migliorando la tecnica produttiva e, con l’ausilio delle moderne tecnologie e delle sperimentazioni, si è arrivati alle attuali produzioni di assoluta qualità caratterizzate da pienezza di corpo e longevità che, soprattutto nei Passiti, marcano la loro provenienza. Dipende poi dalla sensibilità della mano dell’uomo far sì che i profumi della vigna, durante le varie fasi lavorative e affinamento, finiscano dentro le bottiglie. Da queste piante, i primi grappoli maturano a fine luglio, a metà Agosto incomincia la vendemmia che si protrae fino Ottobre inoltrato, abbiamo, infatti, a Pantelleria la vendemmia più lunga d’Italia; le uve provenienti dalle zone rivierasche e man mano verso l’interno, fino ai primi di Settembre, vengono messe in appassimento e, per evitare il formarsi di muffa, vengono girate e rigirate manualmente e secondo i vini che si intendono ottenere viene determinato il periodo di appassimento cosi da ottenere la concentrazione zuccherina desiderata.
Parte delle uve rimangono distese fino al raggiungimento del totale appassimento e verranno utilizzate, se necessario, successivamente in operazioni di governo, oppure come frutta secca, le uve semiappasite, invece, ottenuta la concentrazione desiderata proseguono in cantina il processo di trasformazione, subiscono una pigiodiraspatura e vengono fatte fermentare alla stessa maniera di una (vinificazione) in corso prolungata; la premitura avviene dopo che buona parte della fermentazione si è sviluppata. Il mosto vino in fermentazione continua nel suo processo trasformativo fino al raggiungimento delle gradazioni, sia alcolica e residui zuccherini, cosi come stabiliti dal disciplinare di produzione. Ottenuto il vino, sia esso Passito o Moscato, inizia l’affinamento che può avvenire in vasca, in botte, in bottiglia. Alcuni produttori prediligono il legno insieme alle vasche, altri solamente quest’ultimo.


SALVATORE MURANA
L'azienda è nata nel 1984 quando Salvatore Murana ha deciso di dar vita ad una impresa vinicola tutta sua. Ha puntato subito in alto ed il lavoro lo ha premiato. Oggi ha raggiunto i massimi livelli, ma l'impostazione è rimasta quella artigianale volta a creare grandi vini di qualità.
Salvatore ha saputo rimanere attaccato al proprio territorio e trasferire nelle sue bottiglie il profumo della sua isola, Pantelleria.
I vigneti dalle quali ricava i suoi inconfondibili prodotti sorgono nelle migliori zone dell'isola.
Gran parte dei suoi vigneti sorgono in pendii che si affacciano sul mare. Le sue vigne confinano in altre parole con quello che una volta fu il "Mare Nostrum", il Mediterraneo. Lui Salvatore è un personaggio straordinario. E' schietto, sincero, capace di trasmettere il suo grande amore per la sua isola agli altri e di trasferirla nei suoi vini che sono di classe assoluta. L'ultima sua invenzione, l'Isola nell'Isola, in quel di Muegen, dimostra il suo grande coraggio, la sua capacità di far andare in una parte remota di Pantelleria centinaia di turisti innamorati del suo passito o del suo vino bianco da tavola.
Salvatore Murana, mentre s'aggira lungo le terrazze, tenute insieme dai muretti in pietra lavica, sembra essere tutt'uno con il paesaggio di dammusi. E' una sola cosa con il suo territorio, fatto di migliaia di pietre che non poggiano una sull'altra mai a caso. Come gli aromi del suo Martingana, il passito che ha vinto un premio Oscar, dove gli odori, uno per uno, sembrano essere stati studiati per far bene all'olfatto prima ed al palato dopo.
Come il vento ha levigato una per una le pietre di Pantelleria, così Salvatore, anno dopo anno ha raffinato i suoi prodotti fino a farne una delizia assoluta.
Gira e rigira il calice, Salvatore Murana, e racconta come nasce il suo vino. Mostra le viti - bassissime, con la tipica lavorazione «a paniere» - e le «conche» scavate nel terreno vulcanico intorno alle piantine. Come usa a Pantelleria, per non lasciare i grappoli in balia del vento, che è una costante dell'isola e che raggiunge spesso altissima velocità. Mostra le serre a tunnel utilizzate per l'appassimento dell'uva. Spiega come l'uva passa venga aggiunta a quella fresca (in proporzione di circa il 30 per cento, nel caso del Passito), dopo essere stata pulita («rigorosamente a mano») da frammenti di legno del grappolo. Un grande personaggio, Murana. Il suo Passito migliore, il Martingana, è «abbonato» ai tre bicchieri del Gambero Rosso. Eccellenti anche l'altro Passito di casa Murana, il Khamma, e il Moscato Mueggen, prodotto sempre con Zibibbo, ma con una percentuale inferiore di uva passa. Normalmente il Moscato raggiunge una gradazione di un grado, un grado e mezzo più bassa (12,5 contro 14) e minore residuo zuccherino (7/8%, contro 11/12%). Vino perfetto per formaggi cremosi e piccanti il primo, insuperabile vino da meditazione l'altro. Merito del sole che ha dentro, non c'è dubbio.


IL VINO
Il vigneto di Martingana è vecchissimo oltre 100 anni. Le viti sono di natura a bassissima produttività, l’esposizione è a Sud, e l’appassimento sulle pietre al sole si protrae per oltre 30 giorni. Prodotto con uva Moscato d’Alessandria, chiamata popolarmente Zibibbo, che viene raccolta in Agosto, selezionando solo le uve migliori.
La vinificazione si ottiene con la lenta fermentazione del mosto, dopo la spremitura, è innescata con del mosto fiore di uva Zibibbo, lasciata appositamente sulla pianta; fa anche un breve periodo di maturazione in botti di legno di rovere.
Al profumo monto fruttato di albicocca passita e di fichi secchi e datteri, si aggiungono toni che richiamano il fungo secco e spezie, c’è il sole dentro; al gusto è molto pieno, dolce, mieloso ma non stucchevole.
Un vino che offre sensazioni uniche, stupendo da compagnia, ideale vino da dessert oltre che da formaggi piccanti e o erborinati.
Il toponimo deriva dal nome dell’antica imbarcazione a vela latina, che una tradizione vuole sia affondata nel tratto di mare di fronte a questo vigneto.

MOSCATO D’ASTI BRICCO QUAGLIA Docg


LA SPINETTA


LA ZONA DI PRODUZIONE, IL VINO
UN PO' DI STORIA.

Non si conosce la data precisa dell'introduzione del vitigno MOSCATO Bianco in Piemonte.
Certo è il più antico coltivato in questa Regione.
Sembra abbia avuto origine in Grecia o comunque nel bacino orientale del Mediterraneo.
Le sue uve furono descritte infatti gia in epoca romana con i nomi di Apianae da Catone ed Apicae da Columella e Plinio per indicare la particolare predilezione per il dolce aroma che già allora dimostravano le api nel succhiare i suoi acini dorati.
Coltivato ed apprezzato da più di due millenni, si diffuse in tutta la nostra penisola e soprattutto nella zona del Piemonte in provincia di Cuneo.
Citato per la prima volta in cronache del 1200, successivamente il vitigno si diffuse sulle colline intorno a Canelli: perciò, a livello internazionale, per distinguere questo vitigno dagli altri moscati, lo si chiama appunto Moscato Canelli. A partire dal 1300 il vino dolce, aromatico, alcolico era assai rinomato e ricercato nelle regioni settentrionali italiane. Era stato rilanciato dai commerci dei mercanti veneti. Nel 1511 il "Muscatellum" è citato negli statuti di La Morra: qui vi era l'obbligo nei reimpianti di coltivarlo in percentuale agli altri vitigni. Altra citazione nel 1597 in una richiesta di talee alla comunità di Santo Stefano Belbo da parte del Duca di Mantova.
Soltanto dal 1700 le tecniche di viticoltura migliorarono grazie a Giovanni Battista Croce, milanese, gioielliere di corte Savoia, trasferitosi a Torino a fine cinquecento; considerato il fondatore dell'enologia piemontese per i vini dolci aromatici, poco alcolici, ne codificò in un trattato divulgativo le norme di preparazione.
Il vitigno é molto delicato e sensibile nei confronti delle condizioni climatiche; è vigoroso, ma esigente in fatto di terreno: predilige zone solatie (sorì) basso collinari dove predominano le marne bianche ricche di calcare o quelle grigie-azzurrognole tufacee inframezzate da banchi sabbiosi.
Si eprime con produzioni costanti e soddisfacenti dell'uva che ne é il frutto formato da acini raccolti a grappolo. Il ciclo vitale, dalla fioritura alla maturazione del frutto, é uno dei più lunghi fra gli alberi da fruttiferi: inizia in primavera e termina in autunno.
Cosi esposto a tutte le intemperie primaverili estive ed autunnali, comporta un forte rischio per ciò che riguarda la qualità finale del raccolto.
Il grappolo è medio piccolo, di forma cilindrico-conica con acini sferoidali, buccia abbastanza spessa di colore giallo dorato che diventa ambrato al sole con maculature brunastre; la polpa si presenta consistente con sapore spiccatamente aromatico (di moscato) e dolce.
Il comprensorio viticolo é collinare e situato alla destra del fiume Tanaro, nella Langa e nell'Alto Monferrato. La zona d'origine dalla quale proviene l'unica uva Moscato Bianco atta a produrre il Moscato d'Asti, è stata ufficialmente delimitata fin dal 1932 ed interessa le tre province di Cuneo, Asti ed Alessandria. La localizzazione di un vigneto in quest'area deriva dalle reali possibilità di ben vegetare e ben fruttificare e da secoli di dedizione viticola tendente ad evidenziare la necessità di ottenere qualità e caratteristiche del vino ripetibili nel tempo.
Il "vino bianco", denominazione che da secoli indica localmente il Moscato d'Asti, ha come caratteristica peculiare quella di mantenere il fresco aroma dell'uva, una dosata sensazione di dolce, unita alla freschezza e alla moderata gradazione alcolica.
Le uve sono spremute e pressate per ottenere un succo libero da graspi, bucce e vinaccioli.
Il mosto viene fatto decantare per pulirsi da sostanze fecciose e quindi illimpidirsi naturalmente.
E' mantenuto tale col raffreddamento e con la filtrazione.
La leggera ed attenta fermentazione prima dell'imbottigliamento conserva le caratteristiche fresche sensazioni aromatiche inconfondibili dell'uva. E' vino vivace, talvolta frizzante, con titolo alcolometrico volumico totale minimo di 11° di cui svolto da 4,5° a 6,5°.
Ha colore giallo paglierino con vaghi riflessi verdolini o giallo dorato poco carico.
Emana un profumo intenso, suadente, penetrante, fragrante, molto fruttato, caratteristico dell'uva.
Al gusto, armonico, delicato, si ritrovano le medesime sensazioni aromatiche dell'uva.
Il sapore é dolce, aggraziato, fresco, con buona acidità e lunghissima persistenza
Il Regolamento del 1927 per l'esecuzione del Regio Decreto del 7 marzo 1924 definiva il "Vino Tipico" e così lo si poteva indicare. La costituzione il 17 dicembre 1932 del Consorzio per la tutela del "Vino Tipico Moscato d'Asti" ne definiva la denominazione e ne limitava il territorio d'origine.
Il riconoscimento a "Vino a Denominazione d'Origine Controllata" è del 9 luglio 1967. E' stato infine classificato "Vino a Denominazione d'Origine Controllata e Garantita" il 29 novembre 1993.


LA SPINETTA
Giuseppe Rivetti, sbarcato in Argentina agli inizi del '900, gia' pensando al ritorno nel suo vecchio Piemonte, non avrebbe mai immaginato che il figlio, insieme ai futuri nipoti, avrebbe dato vita alla bella realta' oggi rappresentata da Giuseppe Rivetti con i figli Giorgio, Bruno e Giancarlo.
L'azienda, che ha sede all'Annunziata di Castagnole, ha saputo raggiungere i massimi livelli qualitativi a livello nazionale. Nominata "Cantina dell'anno" nell'edizione 2001 della Guida ai Vini d'Italia di Gambero Rosso-Slow Food, e' da tempo costantemente ai vertici di tutte le principali pubblicazioni del settore. "Pin" era noto da decenni per il suo ottimo Dolcetto, ma la svolta inizio' negli anni '80, quando si dedico' alla produzione di un Moscato d'Asti selezionato e di alto livello.
I figli, coadiuvati dalle rispettive consorti, hanno puntato esclusivamente a far crescere la qualita' dei vini partendo dalla grande cura e limitata produzione dei vigneti di proprieta', che si estendono per molti ettari tra Castagnole Lanze, Costigliole, Neive, Treiso, Mango, Grinzane Cavour, consentendo la produzione di vini eccellenti, apprezzati in Italia e nel mondo, con molte delle principali denominazioni dell'astigiano e dell'albese. Piu' recente l'acquisizione della Fattoria Fichino in Toscana, non lontana da Pisa, dove si produce Sangiovese.
I vini: Barbera d'Asti "Ca' di Pian"; Barbera d'Alba "Vigneto Gallina"; Barbera d'Asti Superiore; Monferrato Rosso "Pin"; Barbaresco Vursu' Gallina; Barbaresco Vursu' Starderi; Barbaresco Vursu' Valeirano; Chardonnay "Lidia"; Langhe biancoSauvignon; La Spinetta Passito oro; Moscato d'Asti e ultimi arrivati il Sangiovese ed il Barolo.


IL VINO
Vigneto nel comune di Castagnole Lanze (AT) con età media delle piante di circa 40 anni, esposizione sud.
Le uve vengono vendemmiate e vinificate a partire da inizio settembre. Dopo l’eliminazione delle parti solide, mediante la pressatura, il mosto ottenuto viene chiarificato leggermente e filtrato per renderlo limpido, dopodiché viene fatto fermentare fino a 4,5% vol di alcol, la fermentazione viene bloccata mediante le basse T° (-2 gradi). Durante questa fase il mosto-vino si arricchisce di anitride carbonica, (fino a una pressione di circa 1,7 atmosfere) che lo rende vivace e fresco al gusto.
Infine si ha l’imbottigliamento a freddo previa filtrazione sterile.
Il vino si presenta ricco al corpo, vivace, brillante, fresco e delicato, dolce e leggermente grasso con intensità di profumi marcati, ( aroma muschiato, la pesca e l'albicocca, sentori di salvia, limone e fiori d'arancio, canditi, uva sultanina, erbe aromatiche,), che hanno una evoluzione positiva durante la permanenza in bottiglia quindi è rimarchevole il fatto che dopo un anno di bottiglia, cosa inusuale per un moscato, si presenti ancora con spiccate caratteristiche di freschezza e fragranza il tutto supportato da una struttura importante.
Si abbina a tutti i dolci ma eccelle sulle crostate di frutta gialla e con il panettone; è diventato un piacere berlo anche il pomeriggio al posto del the o come aperitivo.

ALBANA DI ROMAGNA PASSITO SCACCO MATTO Docg


FATTORIA ZERBINA


LA ZONA DI PRODUZIONE, IL VINO
UN PO' DI STORIA.

L'Emilia Romagna evoca, in campo enologico, vini spensierati, spesso frizzanti ed abboccati.
La visione che ci appare della regione è quella di vigneti destinati alla produzione di grandi quantità con uve per prodotti spesso di modesto contenuto alcolico. Ciononostante, in questa regione dalla storia sempre agitata, ricca ed intensa, dove persino il Cabernet Sauvignon frizzava, a partire dagli anni settanta, una nuova tendenza ha riformato i canoni enologici. Hanno visto la luce anni di frenesia, in cui i migliori produttori si sono impegnati per recuperare il tempo perso dietro alla quantità dedicandosi unicamente alla qualità. L'attenzione rivolta a pratiche di vigneto alternative, alla selezione clonale, a sesti d'impianto più attuali, a nuove forme d'allevamento, a rese limitate ed impensate per queste zone. Più attenzione poi è stata posta all'innovazione in cantina, alle interazioni con i legni, ai giusti tempi di macerazione ed affinamento. In Emilia Romagna tutto ciò non è più un pensiero pionieristico, ma ormai una tendenza sufficientemente consolidata.
Il nostro itinerario può iniziare dall'ameno ed invitante paesaggio dei Colli Piacentini. Risalendo le valli Arda, Tidone, Trebbia, Nure che dalla pianura rimontano le colline piacentine s'incontrano terreni vocati dove nulla sembra affidato al caso e i dolci pendii sono fregiati da regolari geometrie di filari. In questi luoghi, ogni valle sembra possedere la sua vocazione e, se in Val Tidone regnano le uve rosse, la Val Trebbia è consacrata alla bacca bianca. Un piacevole territorio disseminato di 400 fra rocche e castelli con un re incontrastato: il Gutturnio, uvaggio di Barbera e Bonarda.
La D.O.C. Colli di Parma comprende tre sottodenominazioni, due relative a bianchi (Malvasia e Sauvignon) e una al Rosso che può essere ottenuto da uve barbera, bonarda e croatina. Doveroso un tuffo nello spumeggiante mondo del Lambrusco e delle sue denominazioni: Reggiano, di Sorbara, Salamino di Santa Croce e Grasparossa di Castelvetro. Di colle in colle, passati quelli che prestano il nome alle certificazioni di Scandiano e Canossa, assaggiato un fresco calice di Montuni del Reno doc, ecco i Colli Bolognesi. Qui sono prodotti nove vini dei quali tre rossi e sei bianchi.
Ad eccezione del Barbera, del Bianco, del Riesling Italico e del Pignoletto che sono ottenuti con vitigni italiani (alcuni dei quali autoctoni), gli altri sono tutti d'origine francese.
A levante del Sillaro,entriamo nella zona ove oltre alla prima (1987) ed unica DOCG regionale Albana di Romagna (prodotto in più versioni: Secco, Amabile, Dolce e Passito) troviamo le doc Sangiovese di Romagna ottenuta da uve sangiovese più un 15 per cento d'altre tipologie a bacca rossa tipiche della zona, Trebbiano di Romagna vino quotidiano dallo stile inconfondibile prodotto in circa 110000 ettolitri annui, Ente Tutela vini di Romagna, Colli d'Imola, Colli di Faenza, Colli di Rimini, Pagadebit e Cagnina. Punto finale del percorso, la vasta zona posta nelle province di Ferrara e Ravenna. Quest'area, contraddistinta da terreni prevalentemente sabbiosi, tagliati da fiumi e canali, è denominata Bosco Eliceo ovvero la doc conosciuta come quella dei "vini della sabbia".
Le prime notizie sul vino Albana sono avvolte nella leggenda. Si racconta che la figlia dell'imperatore Teodosio, Galla Placidia, assaggiò per prima questo vino durante una sosta in un paesino della Romagna. Le fu servito in una rozza brocca di terracotta ma appena l'ebbe bevuto fu estasiata dalla bontà di quel nettare tanto che esclamò:
- Non così umilmente ti si dovrebbe bere, bensì berti in oro, per rendere omaggio alla tua soavità -
Da allora, si dice, alla corte di Ravenna si bevve Albana in preziosissime coppe dorate e che il paese dove la principessa si fermò a ristorarsi prese il nome di "Bertinoro", nome che ancora oggi conserva. Risulta inoltre che Federico Barbarossa, al tempo in cui fu ospite della contessa Frangipane proprio a Bertinoro, fosse talmente entusiasta dell'Albana da concedersi frequenti sbornie.
L'uva Albana si coltiva solo in Romagna: si tratta quindi del vitigno autoctono per antonomasia.
E' stato anche per questo motivo, oltre che per l'indiscusse qualità organolettiche, che l'Albana di Romagna è stato il primo vino bianco ad ottenere, nel 1987, la Denominazione di Origine Controllata e Garantita.


FATTORIA ZERBINA
Una collina che, salendo progressivamente verso il crinale dell'Appennino tosco-romagnolo, offre alla vite un complesso di condizioni pedoclimatiche variate e allo stesso tempo favorevoli.
Condizioni che attraverso la sapiente interpretazione dell'uomo permettono ai più diversi vitigni di trovare la loro migliore espressione. Sangiovese ed Albana in particolare trovano nelle argille rosse e nei terrazzi alluvionali della Fattoria Zerbina le condizioni ideali per il loro sviluppo.
La Fattoria Zerbina vinifica solo le uve provenienti dai vigneti di proprietà, che si sviluppano su un'unica superficie di 28 ettari tra il podere di Vicchio e la Fattoria Zerbina stessa. Dal sangiovese nascono vini d'annata, rotondi e fruttati, e riserve di grande struttura, che uniscono alla piacevolezza del frutto notevoli capacità di invecchiamento. Dall'Albana invece, grazie ad un particolare microclima, nascono vini dolci da muffa nobile, selezionando con ripetuti passaggi in vigna solo gli acini e le porzioni di grappolo ritenute migliori. Trebbiano, Chardonnay, Sauvignon e Cabernet Sauvignon completano la gamma dei vitigni coltivati e vinificati, da soli o in purezza, per produrre ogni anno vini degni di portare il nome Fattoria Zerbina.


IL VINO
Coltivato nella Vigna del Laghetto Esposizione Sud Terreno franco-argilloso, con sistema di allevamento a pergoletta romagnola con 2500 piante per ettaro, piantate dal 1980 al 1988.
La raccolta delle uve avviene da fine ottobre a metà novembre.
Fermentazione in carati di rovere francese nuovi.
Affinamento: 16-18 mesi in carai, 24 mesi in bottiglia
Dal colore giallo oro intenso con rapidi riflessi oro antico, quasi ambrato, brillante
Profumo elegante e profondo, intenso, con sentori ripetuti di confettura di pesca, miele e più sfumato di muffa nobile con finale leggermente mandorlato.
Al gusto rivela la profondità riflessa al palato, di dolce e misurata avvolgenza che si completa con la tenue amaritudine della muffa nobile, con una persistenza fuori dal comune.
Lo abbinerei al patè di fegato d'oca, formaggi erborinati piccanti - Gorgonzola naturale, Stilton e Roquefort, Taleggio stagionato a pasta cruda; servire ad una temperatura di circa 12°.

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