Qualche
vino bianco famoso
BIANCO VENEZIA
GIULIA COSI’ SIA Igt
JERMANN
LA
ZONA DI PRODUZIONE, IL
VINO
UN PO' DI STORIA:
Il Collio è quella
zona a Denominazione di
origine Controllata che
si estende attraverso
la fascia collinare settentrionale
della provincia di Gorizia,
a ridosso del confine
di stato con la Slovenia
e che comprende circa
1600 ettari di vigneti
collinari specializzati.
Il territorio copre una
sequenza di declivi che
si sviluppano quasi ininterrottamente
lungo una direttrice ideale
est-ovest, presentando
ampie superfici esposte
a mezzogiorno, molto adatte
ad una viticoltura di
gran pregio.
La prossimità delle
Prealpi Giulie costituisce
un efficace riparo dai
venti freddi di settentrione
e la vicinanza della costa
adriatica, che dista mediamente
una ventina di chilometri,
contribuisce a contenere
le escursioni termiche,
favorendo la persistenza
di un microclima mite
e temperato: per questo,
nel secolo scorso, quando
il territorio faceva parte
dell'Impero Asburgico,
Gorizia veniva definita
la "Nizza dell'Adriatico".
La vicinanza del mare
determina anche un singolare
fenomeno di riflessione
dei raggi del solari che
produce un effetto di
doppia insolazione del
quale si avvantaggiano
particolarmente i versanti
esposti ad est e ad ovest.
I terreni del Collio sono
costituiti da marne ed
arenarie stratificate
di origine eocenica, portate
in superficie in epoca
remota dal sollevamento
dei fondali dell'Adriatico,
come indica il frequente
ritrovamento di fossili
marini.
Queste formazioni rocciose
si disgregano facilmente
sotto l'azione degli agenti
atmosferici, originando
un terriccio dapprima
grossolano, poi granuloso
ed infine assai minuto,
che nel volgere di poche
stagioni si trasforma
in un substrato ideale
per la viticoltura.
In quest'ambito geopedologico
e climatico così
favorevole si è
sviluppata, fin dai tempi
più remoti, la
coltivazione della vite,
che risultava praticata
nella zona già
in epoca pre-romana.
Benchè la coltura
della vite fosse antecedente
alla loro venuta, ai Romani
va riconosciuto il merito
di aver introdotto tecniche
più razionali e
dato maggior sviluppo
alla viticoltura. La produzione
dei vini intorno alla
metà del terzo
secolo d.C. era così
diffusa da consentire
all'Imperatore Massimino,
proveniente dalla Tracia
e diretto all'assedio
di Aquileia con le sue
legioni, di requisire
in Collio una quantità
di botti e tini sufficiente
a costruire un ponte sull'Isonzo
alla Mainizza, presso
Gorizia.
Nel Collio la viticoltura
ebbe già dai tempi
antichi una rilevante
importanza economica.
E' questa una realtà
che si desume da molti
documenti che riguardano
il territorio e nei quali
sono sempre citati i due
elementi essenziali che
caratterizzavano allora
ogni angolo della contrada:
la presenza di un castello,
cardine del sistema militare
e politico che consentiva
di esercitare una reale
potestà ed i vigneti
che rappresentavano la
fonte primaria del reddito
e quindi i concreti benefici
per colui che di tale
potestà era investito.
Il veneziano faustino
Moisesso che fu protagonista
e puntuale cronista della
"Guerra degli Uscocchi",
nella sua opera letteraria
"Historia della ultima
guerra in Friuli",
narra come le truppe della
Serenissima si lanciassero
all'assalto di un fortino
in mano all'esercito imperiale
asburgico sfruttando le
zone defilate al tiro
nemico grazie alla presenza
dei terrazzamenti ricavati
sui fianchi del colle.
Questo episodio avveniva
nel 1616 e rappresenta
oggi una chiara testimonianza
della presenza nel Collio
di una viticoltura specializzata
che già allora
si avvaleva di importanti
e complesse opere di sistemazione
fondiaria. lo stesso Autore,
narrando del saccheggio
dei castelli espugnati,
ci informa dettagliatamente
sulla consistenza e natura
delle ricchezze costituenti
il bottino, che sempre
comprendeva ingenti quantità
di "vini squisitissimi".
Vini, quindi, noti e ricercati
da tempo immemorabile
presso le antiche Corti
d'Europa, e particolarmente
dalla Serenissima Repubblica
e dalla Corte Imperiale
Asburgica che con alterne
vicende lungamente si
contesero queste tormentate
contrade.
La moderna viticoltura
nasce in Collio nella
seconda metà del
1800, principalmente ad
opera del Conte Teodoro
Latour, proprietario di
una vasta tenuta che oggi,
in altre mani, ancora
produce rinomati vini.
A lui si deve l'introduzione
di pregiate varietà
di uve da vino francesi
e tedesche che andarono
a sostituire alcuni vecchi
vitigni locali di minor
interesse qualitativo.
Nel Collio fu tuttavia
mantenuta la coltura di
alcune varietà
tradizionali più
rinomate tutt'oggi presenti
ed ancora coltivate con
successo.
SILVIO
JERMANN
Silvio Jermann è
senza dubbio uno dei più
prestigiosi e importanti
produttori italiani ed
internazionali, un vero
"cult" per gli
appassionati.
Già leggendo i
nomi delle sue più
famose realizzazioni come
It Was Dreams Now It Is
Just Wine!, Vinnae, Capo
Martino, Vintage Tunina,
Cosi’ Sia, si può
immaginare quale fantasia
e immaginazione pervada
questo vignaiolo senz'altro
più a suo agio
con i vini di fantasia
che con quelli classici
monovarietali (che comunque
produce egregiamente).
Gli Jermann, arrivati
in Friuli, a Villanova
di Farra, nel 1881 dall’Austria,
furono prima mezzadri,
poi proprietari; finché
verso l’inizio del secolo
il vino divenne l’argomento
principale del loro lavoro.
Sono contadini duri, tutti
d’un pezzo, di quelli
che non vogliono sentir
debolezze né cambiare
una virgola nella tradizione.
Il nonno Silvio è
uomo che, dovendo andare
in guerra, scelse l’esercito
d’Austria e avendo ereditato
una vigna, seppur in valle
buia e scossa dalla bora,
fece vino.
Silvio che nel ’68 era
a Conegliano alla scuola”del”
vino, ebbe, come tutti,
volontà di contestazione,
ma anche comprensione
del diverso e capacità
d’autonomia.
Ritornò con l’ansia
giovanile di cambiare
tutto.
Non più vini pesanti
e grassi, ma profumati,
armonici, costruiti secondo
logiche contemporanee,
con macchine contemporanee
e per il gusto contemporaneo,
nel rispetto della tradizione.
Aveva imparato a scuola
che si può vinificare
in bianco, che esiste
la macerazione carbonica:
egli doveva riuscire;
dal suo vino personale
e preciso, quello di suo
padre, ad estrarre non
soltanto un vino moderno,
ché la modernità
tutto appiattisce, ma
un prodotto che esprimesse,
perfettamente, un gusto
che ancora si doveva formare.
Litigò, emigrò
in Canada, ritornò
e ci riuscì: il
suo vino, e la sua famiglia,
padre austroungarico compreso,
sono oggi cittadini del
mondo, apprezzati, valorizzati.
IL
VINO
Vino pensato per la celebrazione
della S. Messa da donare
alle parrocchie di Farra
e Dolegna del Collio ove
sono ubicate le nostre
vigne. Dalla coltivazione
della vite alla vinificazione
sono stati rispettati
i principi naturali (per
esempio fermentato senza
solforosa in botti tradizionali).
Prodotto con uve Tocai,
Malvasia Istriana e una
piccola parte di Ribolla
Gialla.
Affinato quasi un anno
in botti tradizionali
di rovere di Slavonia
da 600-750 lt.
Il vino si presenta di
color giallo oro antico,
luminoso e splendente.
Dal profumo intenso ed
elegante che esprime complessità,
inizialmente con note
di frutta matura, secca
e tostata, poi con sentori
di miele, spezie dolci,
cera ed incenso. In bocca
è secco, caldo
e persistente. Esprime
al tempo stesso morbidezza
ed equilibrio. Il lungo
finale è caratterizzato
da note fresche e sapide
che sostengono ed amplificano
la componente aromatica.
L’intenzione nel produrre
il “cosi’ sia” era quella
di ottenere un vino semplice
e schietto che rispecchiasse
i metodi di lavorazione
delle generazioni passate.
VERDICCHIO
DEI CASTELLI DI JESI CLASSICO
LE VAGLIE Doc
SANTA
BARBARA
LA
ZONA DI PRODUZIONE, IL
VINO
UN PO' DI STORIA.
I Castelli di Jesi, patria
del Verdicchio classico
d.o.c., rappresentano
uno tra i territori più
belli dal punto di vista
paesaggistico e più
importanti dal punto di
vista enologico delle
Marche.
Situati nell'entroterra
di Ancona, a metà
strada tra il mare Adriatico
e gli Appennini, presentano
un susseguirsi di borghi
medievali e rinascimentali
dall'aspetto ancora immutato,
legati tra loro da dolci
colline ricoperte dai
vigneti di Verdicchio.
Non si tratta di castelli
come normalmente si intende,
cioè grandi abitazioni
fortificate che appartenevano
ad una sola famiglia,
bensì di paesi
castellati, cioè
circondati e chiusi da
alte mura, all'interno
delle quali si rifugiavano
gli abitanti ed i contadini
delle campagne circostanti
durante le incursioni
dei pirati.
I Castelli di Jesi sono
14 si pongono a ferro
di cavallo sulle colline
attorno alla vallata di
Jesi. Per la maggior parte
hanno conservato immutato
l'aspetto tipico medioevale,
con il caratteristico
snodarsi di vicoli e viuzze
all'interno delle mura.
Anche le mura sono quasi
tutte perfettamente conservate
e tutelate dalla Sovraintendenza
di Ancona.
Il Verdicchio dei Castelli
di Jesi e' il vino Doc
piu' famoso e storicamente
conosciuto delle Marche.
I filari di Verdicchio,
antichissimo vitigno originario
di queste terre emigrato
successivamente in Friuli,
Veneto, Toscana e Campania,
si distendono sulle colline
che fiancheggiano il fiume
Esino dove vanno ricercate
le origini della coltura
della vite nelle Marche.
Al centro di questa storica
zona viticola, chiamata
dei Castelli di Jesi,
sorge la citta' che da'
il nome al vino, l'antica
Aesis, colonia romana
di probabile origine umbra.
La storia di Jesi si intreccia
con quella dei suoi Castelli,
di cui ormai rimangono
soltanto i ruderi che
hanno dato il nome alle
localita' di Castelbellino,
Castelplanio, Maiolati,
Monte Roberto e Cupramontana,
citta' nata attorno ad
un tempio eretto in onore
della dea Cupra, fatto
restaurare dall'imperatore
romano Adriano nel 217
d.C., dove si tenevano
riti propiziatori con
sacre bevute di un vino,
probabile antenato del
Verdicchio, in onore,
appunto, di Cupra, dea
della ricchezza e dell'opulenza.
Dagli antichi romani la
fama del Verdicchio arrivo'
fino ai "barbari"
(nome con cui si indicano
le popolazioni provenienti
dai paesi d'oltralpe che
invasero e posero fine
all'Impero Romano) tanto
che Alarico, Re dei Visigoti,
quando nel 410 d.C. attraverso'
le Marche per raggiungere
e stringere d'assedio
Roma, si racconta che
carico' 40 muli con barili
di Verdicchio, non si
sa se di questo o del
confinante Verdicchio
di Matelica, ritenendo
nessuna altra cosa al
mondo migliore di questo
vino per mantenere la
salute e stimolare la
forza dei suoi soldati.
Le citazioni poetiche
che il Verdicchio si e'
guadagnato nel corso della
sua storia secolare sono
moltissime: tra le tante
vale la pena di ricordare
quella di Pietro Aretino,
noto poeta toscano del
'500, che nonostante la
fama di denigratore di
tutto e tutti per il Verdicchio
spese parole soavi per
esaltarne le virtu' dietetiche
e gustative.
Il Verdicchio dei Castelli
di Jesi puo' fregiarsi
della qualifica geografica
di "Classico"
se viene prodotto nella
zona piu' antica e tradizionale
dell'area definita dalla
Doc.
SANTA
BARBARA
Rilevando, nel 1986, l’azienda
Santa Barbara, nella quale
suo padre e uno zio avevano
delle quote, Stefano Antonucci
decise di dedicarsi a
tempo pieno all’attività
per la quale stava sviluppando
un’autentica passione.
Attività che si
caratterizzò subito
per la moderna differenziazione
delle proposte, a partire
naturalmente dal Verdicchio
dei Castelli di Jesi:
al Verdicchio-base e alla
selezione Pignocco seguirono
Le Vaglie e la Riserva
Stefano Antonucci. Alter
ego di Antonucci è
Silvio Brocani, uomo del
vino storico nelle Marche,
in Santa Barbara dal ’93
come responsabile commerciale
ma anche, seppure spontaneamente
e non formalmente, amichevole
consulente; entrambi puntano
a esaltare una spiccata
territorialità,
oltre che una riconoscibilità
aziendale, nei vini. Vini
che, fin dall’inizio,
si sono segnalati anche
per la correttezza del
rapporto tra qualità
dei prodotti e costi per
il consumatore, mantenendo
un ragionevole scarto
tra le differenti tipologie.
Il Verdicchio dei Castelli
di Jesi, anche ora che
la gamma aziendale comprende
varie altre tipologie
di vino, resta comunque
la principale.
IL
VINO
Il Verdicchio dei Castelli
di Jesi DOC Classico "Le
Vaglie" è
stato scelto da Burton
Anderson tra i migliori
101 vini italiani.
Vigneti in contrada le
Vaglie. Uve verdicchio.
Maturazione presso il
produttore: circa 8 mesi.
Durata presso il consumatore:
presumibilmente 4 anni
almeno, grazie al suo
ottimo rapporto acido-alcol
e struttura.
Di colore giallo verdolino
brillante con sfumature
leggermente dorate.
Al naso profumi ricchi
e complessi, prima leggermente
vegetali poi sentori delicatamente
speziati e di frutta matura.
Al palato rotondo, grasso,
equilibrato e caldo, di
grande morbidezza e persistenza.
Abbinamenti gastronomici:
ostriche, crostacei, piatti
di pesce salsati.
TREBBIANO
D’ABRUZZO Doc
VALENTINI
LA
ZONA DI PRODUZIONE, IL
VINO
UN
PO' DI STORIA
La zona di produzione
del Trebbiano d'Abruzzo
e' vastissima, praticamente
tutta la regione. Viene
ricavato dal mosto fiore
del vitigno omonimo ed
ha color giallo paglierino
chiaro o dorato.Il vitigno
Trebbiano d'Abruzzo viene
indicato anche con la
denominazione di Bombino
bianco. I suoi grappoli
sono di media grandezza,
di forma piramidale, alati
e, secondo una visione
alquanto fantastica, rassomigliano
ad un bambino con le braccia
distese: di qui il nome
di "Bambi-no"
e poi di "Bombino".
Oltre al Trebbiano d'Abruzzo
ed al Trebbiano toscano,
anche se in minima parte,
concorrono alla produzione
di questo vino i vitigni
Passerina e Cococciola,
quest'ultimo di discreta
vigoria, dalla produzione
costante ed abbondante,
ed originario dell'Abruzzo.
Etimologicamente non e'
facile designare l'origine
del nome "Trebbiano".
Plinio, nella sua "Storia
Naturale", parla
di un "Trebulanum"
che pare fosse originario
della Campania e, precisamente,
della zona di Caserta.Di
qui sarebbe stato importato
in Abruzzo.L'Abruzzo,
sin dai tempi antichi,
e' stata una terra rinomata
per le uve ed i vini.
Il poeta latino Ovidio,
originario di Sulmona,
scrive nel secondo libro
dei Giovani Amores: "Sono
a Sulmona, terzo dipartimento
della campagna Peligna,
piccola terra ma salubre
per le acque che la irrigano...
Terra fertile di grano
e molto piu' fertile di
uve". Dicendo "uve"
e non "uva"
Ovidio alludeva certamente
alle varie qualita' del
prodotto che gia' da allora
esistevano e che hanno
reso famosa nel mondo
la Valle Peligna.Il Trebbiano
in particolare, che godeva
di scarso interesse per
i raffinati bevitori dell'Impero
romano, aveva invece gran
successo presso l'esercito,
tanto da essere chiamato
"il vino dei soldati".
VALENTINI
Le
prime testimonianze documentali
che comprovano l’attività
agricola della famiglia
Valentini risalgono al
1650. Altrettanto certa
è la presenza in
zona di vigneti di Trebbiano
d’Abruzzo, antica varietà
autoctona, almeno dal
1821. Camillo Valentini
riceve per la qualità
dei suoi vini un primo
riconoscimento ufficiale
già nel 1868. L’attuale
proprietario Edoardo (che
ama definirsi un artigiano
del vino), suo discendente,
comincia ad occuparsi
dell’azienda nei primi
anni ‘50.La campagna che
si estende tutta intorno
al borgo medioevale di
Loreto Aprutino è
tra le più belle
d'Italia. Uliveti a perdita
d'occhio, frutteti, vigne,
un paesaggio che sembra
uscire da una stampa del
secolo scorso. Questo
è il regno di Edoardo
Valentini, principe dei
viticoltori e uomo profondamente
legato alla sua terra
e ai ritmi della campagna.
Con quella di quest'anno
(1998), saranno quarantotto
le vendemmie che avrà
seguito direttamente ed
è solo questo il
segreto della sua profonda
conoscenza delle vigne
e delle tecniche di coltivazione,
di raccolta e di vinificazione.
Per quasi mezzo secolo,
insomma, ha osservato
attentamente l'andamento
delle diverse annate e
ha imparato a selezionare
le uve di conseguenza.
Attualmente imbottiglia
solo il 10-15% della sua
produzione. Il resto lo
conferisce a una cantina
sociale della zona della
quale è socio.
Ma i vini che portano
il suo nome devono essere
come li vuole lui, senza
compromessi. Il Trebbiano
d'Abruzzo è un
bianco magistrale, "alla
Valentini", persino
più nitido nei
profumi e più elegante
del solito. Un bianco
da uve così bistrattate,
fa veramente pensare.
Per farlo così
ci sono voluti cinquant'anni
di vendemmie. Una vita.
IL
VINO
Colore
paglierino intenso con
evidente nota verde e
una incerta limpidezza.
Naso caratteriale, all'inizio,
come sempre, più
difficile e rustico con
un tono quasi carnoso;
col passare dei minuti
il vino si apre rivelando
note di erbe, di sambuco,
di nocciola cruda, di
terra fresca in un compendio
ampio, omogeneo e dal
grande potenziale di complessità.
In bocca la presenza del
corpo non è pressante
ma piuttosto ha un valore
spirituale e per questo
unico ed eccezionale:
la persistenza, la grande
corrispondenza con gli
aromi donano la stessa
unità di sensazione
del naso; il finale è
in crescendo. La personalità,
la sintonia con il territorio,
lo rendono difficile da
imitare, anzi diventa
unico.
Tasca
D'Almerita
L'Azienda Agricola Tasca
D'Almerita fu fondata
nel 1830 nel feudo di
Regaleali. La tenuta comprende
circa 500 ettari di cui
350 coltivati a vite.
E' ubicata nel cuore dell'isola
di Sicilia, al confine
tra le provincie di Palermo
e Caltanissetta. L'altitudine
va dai 400 metri a 750
metri al di sopra del
livello del mare e conferisce
alla tenuta un microclima
dalle caratteristiche
uniche. Questo permette
una raccolta tardiva,
se paragonata al resto
dell'area produttiva siciliana,
e dona al vino un carattere
particolare e distintivo,
grazie anche ad un'attenta
selezione delle viti.
Sicilia,
isola di Bacco.Da
alcuni anni istituzioni
e viticoltori siciliani
sono impegnati nella realizzazione
di un ambizioso progetto:
fare della Sicilia una
delle regioni d'Italia
con maggiori attrattive
enoturistiche. Si tratta
di una sfida affascinante
accolta con grande entusiasmo,
e che ha fatto sì
che antichi pregiudizi
lasciassero il posto ad
un effettivo rilancio
del ruolo della regione
quale isola protagonista
nell'area mediterranea.Sono
sempre più numerosi,
infatti, i turisti interessati
a scoprire il suo patrimonio
enogastronomico. A questi
visitatori l'isola offre
oggi emozioni assolutamente
indimenticabili: percorsi
fra storia e cultura,
fra Bacco e Cerere, ricchi
di degustazioni e scoperteItinerari
e proposte volte a soddisfare
le loro più importanti
curiosità e che
li portano a conoscere
la fertile terra siciliana
con i suoi vigneti, con
i suoi frutti, gli uliveti,
le coltivazioni, i monumenti,
il mare, sempre illuminata
dal sole, perennemente
colorata di luce. Guidati
unicamente dai propri
gusti, questi turisti
scelgono di volta in volta
di intraprendere dei percorsi
sempre nuovi e interessanti.
C'è chi sceglie
di entrare nel regno dell'Inzolia,
del Catarratto, dello
Chardonnay e di degustare
i migliori vini bianchi
a cui queste uve danno
vita. Chi preferisce i
rossi, invece, va sempre
più alla ricerca
di quelli che attualmente
sono considerati i protagonisti
assoluti, ovvero il Nero
d'Avola e il Frappato,
dall'Etna a Vittoria,
da Siracusa a Messina,
da Marsala a Palermo.
I veri appassionati poi
non mancano di seguire
un itinerario particolare
che li porta lungo i sentieri
dei vini liquorosi più
famosi: dallo Zibibbo
(o Passito) di Pantelleria,
al Marsala, alle Malvasie
delle Lipari. Insomma,
l'isola è a portata
di palato e di naso perché
i profumi e i sapori dei
suoi vini sono davvero
esperienze indimenticabili.
Il
vino tra storia e leggenda
Il
vino siciliano, nettare
che eccita il gusto, l'olfatto,
la vista, nasce in un
territorio da sempre vocato
alla viticoltura attorniato
da un paesaggio caldo,
mediterraneo, ricco di
storia.La storia dei vini
dell'isola si intreccia,
proprio ai primordi dell'enologia,
con i miti ellenici, storicamente
provato che i primi coloni
greci giunti a Naxos,
una splendida baia nei
pressi di Taormina, si
dedicarono "professionalmenteì"
alla coltura della vite,
forti delle esperienze
acquisite nella madre
patria. Infatti, la Naxos
delle isole Cicladi era
diventata specialmente
nota per i suoi vini pregiati
e per il culto a Dioniso,
culto che viene fervidamente
continuato anche nella
nuova colonia siciliana.
Nelle monete di Tauromenium
(l'odierna Taormina) è
raffigurata la testa del
dio del vino. La leggenda
vuole che Dioniso in persona
si sia spinto nella valle
del fiume Alcantara, noto
per le sue rocciose e
profonde gole.Spetta ai
Fenici, audaci navigatori
e mercanti di razza, portare
in tutte le coste raggiungibili
dalle loro agili navi
i vini siciliani facendone
uno dei prodotti più
importanti degli scambi
commerciali di quell'epoca.
Sulla scia di un folklore
che già allora
si faceva notare, i vini
siciliani giunsero sulla
tavola dei condottieri
e dei poeti della Roma
repubblicana ed imperiale,
circondati dal fascino
dei miti isolani. é
nota la predilezione di
Giulio Cesare per il Mamertino,
prodotto in alcuni comuni
della zona tirrenica del
messinese, mentre Plinio
il Vecchio, noto per la
sua competenza in materia,
prediligeva il Taormina
bianco, prodotto con le
antiche uve Catarratto
bianco, Carricante, Grillo,
Inzolia e Minella bianca.I
grandi movimenti delle
flotte inglesi, durante
il periodo napoleonico,
favorirono il sorgere
della grande industria
enologica sicula, incentrata
intorno al Marsala.Per
questa via i vini siciliani
sono entrati nelle tradizioni
popolari diventando espressione
dell'animo e della cultura
delle popolazioni che
li producevano.
La
storia recente
Tornando
all'oggi, la realtà
enologica siciliana ha
raggiunto in questi ultimi
anni la vetta di qualità
più alta ed estesa
mai raggiunta prima nella
sua pur lunga storia.
I valori di unicità
dovuti alle particolari
caratteristiche pedoclimatiche
del territorio (il clima
della terra in cui il
vino viene confezionato
e le uve da cui nasce
che maturano sotto i raggi
cocenti del sole, gli
conferiscono un sapore
e caratteristiche peculiari
inimitabili), l'incontro
fra le moderne tecniche
enologiche ed antichi
e nuovi vitigni, insieme
alla tenacia e alla fantasia
delle aziende, hanno permesso
di ottenere in questi
anni risultati tali da
attirare l'attenzione
di molti imprenditori
italiani ed esteri. La
Sicilia è oggi
uno dei più grandi
empori vinicoli del Mediterraneo,
con disponibilità
di una vasta gamma di
vini, adatti a qualsiasi
circostanza a tavola e
per tutti i gusti. Non
più solo vini di
elevata alcolicità,
come un tempo, ma bianchi,
rossi e rosati come quelli
prodotti sulle pendici
dell'Etna, limpidi gradevoli
e leggeri. Non mancano
bianchi più sostenuti,
ma pur sempre vini da
pasto, anche eleganti,
prodotti nel palermitano
e nel trapanese; rossi
vivaci nel siracusano
e nel ragusano; vini molto
colorati e corposi provenienti
da Milazzo. Vasta è
la disponibilità
nel campo dei vini amabili
o dolci, quali il famoso
Moscato di Siracusa, quello
di Noto, i passiti dolci
naturali o liquorosi delle
isole di Lipari e di Pantelleria
e il più celebre
fra i vini da dessert
del mondo, ovvero il Marsala,
perfezionato e valorizzato
da intraprendenti mercanti
britannici agli inizi
dell'Ottocento, ma i cui
metodi di ìconciaì
risalgono a tradizioni
antichissime della Magna
Grecia. Concludono il
lungo e variegato panorama
di bottiglie la produzione
di spumanti, distillati
come la grappa, rosoli
(al mandarino, all'arancio,
alla rosa, all'alloro,
al fico d'India, al pistacchio)
che racchiudono tutti
i profumi della Sicilia,
e i tanti liquori prodotti
con gli agrumi e la frutta
dell'isola come il limoncello,
il fragolino, il mandarinetto,
l'arancello e, ancora,
gli amari a base di erbe.
La
viticoltura in numeri
Attualmente
la forza della Sicilia
vitivinicola si esprime
con circa 138.019 ettari
di vigneto (di cui 73%
uve bianche e 27% uve
rosse), localizzati per
il 65% in collina, per
il 30% in pianura e per
il 5% in montagna. Nella
regione la superficie
media per azienda è
di 1,3 ettari; trentamila
sono gli addetti del settore
a tempo pieno; centotrenta
sono le aziende imbottigliatrici,
di cui trenta cantine
sociali. La percentuale
di produzione delle cantine
sociali si attesta intorno
all'80%. Il valore del
vino per il 2000 si è
stimato in circa mille
miliardi di lire e lo
stesso contribuisce per
circa il 15% alla produzione
lorda vendibile siciliana.
Le stime riferiscono che
nel 2000 sono stati prodotti
in regione 5.696.000 ettolitri
di vino, di cui: 4.158.000
(circa il 75%) bianchi
e 1.538.000 rossi e rosati.
La produzione di vini
Doc è stata stimata
intorno ai 200.000 ettolitri,
di cui: 140.000 bianchi
e 60.000 rossi. Quanto
alle produzioni di vini
Igt questa è stata
pari a 1.500.000 ettolitri.
In totale sono stati imbottigliati
900.000 ettolitri di vino,
pari a 112.500.000 bottiglie
da 0,75. Infine sono stati
esportati 2.119.643 ettolitri
di vino (i dati sono tratti
dal volume ìFiliera
del vino e delle uve da
tavolaì realizzato
dalla Ismea per conto
dell'IRVV). Come si può
osservare oggi la realtà
del vino made in Sicily
è sicuramente positiva,
ma nel corso dell'ultimo
secolo non sono mancati
i momenti difficili per
i viticoltori; basti solo
ricordare che fino agli
anni '60, la viticoltura
nell'isola era caratterizzata
da una produzione complementare
(da ìtaglioì)
ad elevata gradazione
e bassa acidità.
Dagli anni '60 in poi,
si è passati progressivamente
ad una produzione di vini
da tavola a minore gradazione
alcolica e a bassa acidità
totale, realizzata attraverso
l'introduzione dell'irrigazione
di soccorso, la diffusione
di sistemi di allevamento
a maggiore espansione,
l'anticipazione della
raccolta e, a livello
di trasformazione, con
la diffusione del controllo
termico della fermentazione.
Negli anni '90, poi, la
Sicilia ha operato una
trasformazione della sua
enologia produttiva per
mezzo di modifiche sostanziali
alle tecniche colturali
dell'uva e dei suoi processi
di vinificazione dei mosti,
nonché di immagine
e di commercializzazione.
Gli effetti di questo
processo sono realmente
eclatanti in termini di
qualità del prodotto
e ciò è
testimoniato dall'enorme
apprezzamento dei vini
siciliani su tutti i mercati
nazionali ed esteri e
dallo sforzo continuo
per il miglioramento dei
disciplinari di produzione
dei vini a denominazione
d'origine, in tutto diciotto
(Alcamo, Cerasuolo di
Vittoria, Contea di Sclafani,
Contessa Entellina, Delia
Novelli, Eloro, Etna,
Faro, Malvasia delle Lipari,
Marsala, Menfi, Monreale,
Moscato di Noto, Moscato
e Passito di Pantelleria,
Moscato di Siracusa, Sambuca
di Sicilia, Santa Margherita
di Belice e Sciacca) attualmente
riconosciuti nell'isola.
L'ampelografia:
difesa scientifica e occhio
al futuro
Una
delle caratteristiche
della viticoltura siciliana
è quella di poggiare
su varietà di uve
locali coltivate da secoli
e adattate al clima e
ai terreni della regione;
solo da pochi anni infatti
è iniziata la coltivazione
di vitigni provenienti
da altre zone. Bisogna
comunque precisare che
disporre di un patrimonio
ampelografico di prim'ordine
è importante, ma
non meno lo è saperne
conservare i valori e
tramandarli alle nuove
generazioni di vignaioli.
A questo scopo sono determinanti
la ricerca e la sperimentazione,
per un effettivo miglioramento
della qualità sia
dei vitigni autoctoni
sia di quelli innovativi.
L'attività messa
in campo sul territorio
dall'Istituto Regionale
della Vite e del Vino,
l'ente di diritto pubblico
della Regione Siciliana,
istituito con apposita
legge regionale n.64 del
18/07/1950, che ha tra
i propri compiti la tutela,
l'evoluzione e la promozione
della produzione vitivinicola
della Sicilia, in tal
senso si è rivelata
di grande supporto.L'Istituto,
intensificando la propria
attività nei campi
di orientamento varietale
e le prove di microvinificazione
sulle uve autoctone ed
alloctone prodotte negli
stessi, ha permesso di
valorizzare la vocazionalità
vitivinicola della regione.
è significativo
ricordare che oggi in
Sicilia la coltivazione
di varietà internazionali
come il Cabernet Sauvignon,
il Merlot, lo Chardonnay,
il Syrah, il Sauvignon,
che stanno caratterizzando
la moderna immagine dell'enologia
regionale, è stata
autorizzata con specifici
regolamenti comunitari,
derivati proprio dalla
sperimentazione viti-enologica
condotta con il diretto
apporto delle strutture
dell'IRVV. Nel contempo
la valorizzazione di varietà
tradizionali come il Nero
d'Avola, il Frappato e
l'Inzolia, la scelta di
nuove varietà,
di modelli viticoli già
individuati nei campi
sperimentali dell'IRVV
dislocati nelle aree viticole
più importanti
della Sicilia, e dei protocolli
enologici successivamente
elaborati presso la cantina
di microvinificazione,
sono stati puntidi riferimento
per numerose aziende vitivinicole
regionali, che stanno
ottenendo oggi riconoscimenti
nei mercatiinternazionali.
La
scelta dei vitigni
In
modo silente, quasi impercettibile,
è in atto, un po'
ovunque nell'isola, la
riscossa dei vitigni made
in Sicily, quelli definiti
dai tecnici "autoctoni".
Sono le 'minoranze', simili
ai prodotti gastronomici
in estinzione, eppure
sono proprio queste varietà
(che stanno riscontrando
un apprezzamento notevole
a seguito della crescita
qualitativa dei produttori)
che rappresentano una
testimonianza della vivacità
della coltura vitivinicola
regionale, quelle su cui
si gioca la sfida per
il futuro. I produttori,
infatti, li considerano
una potenziale fonte alla
quale attingere per la
creazione di vini sempre
nuovi. L'importanza assunta
dal 'terroir' per i viticoltori
si evidenzia nella scelta
sempre più frequente
da parte di questi di
produrre vini a Indicazione
Geografica Tipica.Tra
i vitigni saliti in vetta
ai livelli di qualità
figurano, fra quelli a
bacca bianca, l'Ansonica
o Inzolia, il Grillo,
il Grecanico, il Moscato
Bianco, il Damaschino.L'Ansonica
si adatta bene ai diversi
ambienti caldo-aridi del
Sud e dà un vino
dorato, caldo, profumato,
perfettamente confacente
alla produzione del Marsala.
Viene spesso usato in
mescolanza con altre uve
a cui aggiunge finezza,
forza e profumo. é
il caso, per esempio,
del Bianco d'Alcamo Doc
(la cui composizione ampelografica
comprende anche questo
vitigno), che possiede
un colore giallo paglierino
brillante con riflessi
verdognoli, un bouquet
fragrante che integra
frutta tropicale, selce,
una leggera nota affumicata
e di salvia, un sapore
secco, sapido, deciso,
con una lieve vena di
mandorle amare ed una
dolce speziatura. Il Grecanico,
invece, appartiene al
gruppo dei vitigni provenienti
dalla Grecia e solo successivamente
si è diffuso in
Sicilia. Esso dà
vita ad un vino di colore
giallo carico, snello,
di corpo, giustamente
alcolico, fresco, provvisto
di buon profumo; interviene
nella produzione di numerose
Doc siciliane come Contessa
Entellina, Delia Novelli,
Menfi, Contea di Sclafani
e altre ancora.I vini
prodotti con questi vitigni
a bacca bianca, in genere,
si sposano bene con antipasti
anche saporiti come il
tonno sott'olio o le tinche
in carpione, o con primi
di verdure a base di patate
e zucca o di pesce come
spaghetti alla catanese,
pasta col sugo di seppie,
maccheroni con le sarde
o con le acciughe e pasta
con i broccoli. Si ottiene
un ottimo abbinamento
anche accostandoli a secondi
quali sarde a beccafico
alla catanese, cuscus
alla trapanese, pesce
spada ai ferri, tonno
al forno, totani ripieni
e zuppe miste di pesce.Quanto
ai vitigni a bacca rossa,
sono soprattutto il Nero
d'Avola e il Frappato
i vitigni autoctoni che
meglio esprimono la secolare
tradizione.Il Nero d'Avola
o Calabrese, infatti,
è la base e la
struttura della qualità
dei grandi vini rossi
di Sicilia DOC o IGT,
il cui patrimonio, arte
e segreti, sono conservati
nella cultura e nelle
abitudini di vita degli
abitanti del suo territorio.Il
Nero d'Avola è
il vitigno a buccia nera
più importante
per l'enologia siciliana.
Originario del siracusano
è alla base anche
del vino Eloro Doc. Con
una produzione non superiore
ai 100 q.li/ha dà
origine a vini di notevole
struttura e colore da
destinare anche all'invecchiamento.
Il frappato, invece, è
originario della zona
di Vittoria. é
diffuso soprattutto da
Ragusa a Siracusa e con
produzione ottimale non
superiore ai 70 q.li/ha
dà origine a vini
ricchi di tannini nobili
non molto coloriti ma
con grande struttura e
finezza. Dall'unione tra
il Nero d'Avola e il Frappato
ha origine il rinomato
"Cerasuolo di Vittoria"
Doc, il più famoso
rosso della Sicilia, la
cui zona di produzione
comprende i territori
dei Comuni di Ragusa,
Vittoria, Comiso, Acate,
Chiaramonte Gulfi, Santa
Croce Camerina, Niscemi,
Gela, Caltagirone, Licodia
Eubea, Riesi, Butera,
Mazzarino e Mazzarrone.
In generale i vini come
questo -prodotti con uve
a bacca rossa (Nero d'Avola
e Nerello Mascalese, Perricone,
Frappato) - godono di
una struttura che li rende
ideali per accompagnare
tutte le portate di un
saporito pasto a base
di carne.A seconda che
li si beva ancora giovani
o che vengano lasciati
invecchiare, questi vini
possono affiancare differenti
preparazioni: possono
essere felicemente accostati
a primi come ravioli di
carne, tagliatelle con
salsiccia, o condite con
ragù alla bolognese.
A secondi come l'anatra
brasata con olive verdi,
le pernici alla siciliana,
la beccaccia in casseruola.Nel
caso vengano lasciati
invecchiare, acquisiscono
corposità e una
struttura più ampia
e decisa che li rende
adatti soprattutto a robusti
piatti di carne, senza
contorni di patate o polenta
che ne attenuino il sapore:
si possono gustare con
brasati, spezzatino di
cinghiale, salmi di cervo
o di lepre, stinco stracotto.
Ottimi, a fine pasto,
con formaggi stagionati
come i pecorini siciliani.
Il
successo dei vini rossi
di Sicilia
La
riscoperta dei vitigni
autoctoni siciliani a
bacca rossa è stata
l'artefice, negli ultimi
anni, del successo riscosso
dai vini rossi siciliani
sui grandi mercati e nei
concorsi enologici nazionali
ed internazionali. Questi
attualmente vengono prodotti
nella misura del 25% ed
hanno un pubblico di estimatori
raffinati, sparsi in Italia
ed Europa. La loro preziosità
è dovuta alla virtù
dei vitigni, alla magia
del clima, alla diligente
coltura a opera di appassionati
amatori.Non solo in Sicilia,
ma anche nel resto d'Italia,
la tendenza del mercato
è quella di orientarsi
verso la produzione e
il consumo di vino rossi
come confermano le recenti
elaborazioni ISMEA su
dati Istat a proposito
della ripartizione degli
acquisti per colore. Questa
tendenza in parte è
stata influenzata da alcune
ricerche mediche degli
Stati Uniti che hanno
confermato la presenza
nel vino di molte molecole
che hanno reali effetti
benefici sull'organismo
umano, i polifenoli. In
alcune varietà
tipicamente siciliane,
come il Nero d'Avola e
il Frappato si sono evidenziati
contenuti altissimi di
polifenoli con alta presenza
di tutta la grande famiglia
dei flavonoidi e delle
varie qualità di
resveratrolo. Ad esercitare
notevole in-fluenza in
tal senso sarebbero le
caratteristiche del terreno,
la durata media e l'intensità
dell'insolazione (che
in Sicilia è particolarmente
ricca di raggi ultravioletti),
i tempi di vendemmia,
il clima e non ultimi
anche i vitigni autoctoni.I
vini rossi siciliani,
comunque, sono classificabili
per la maggior parte come
vini di grande qualità.
Ciascuno di essi, infatti,
racchiude in sé
le caratteristiche della
zona da cui trae origine:
i vini rossi dell'Etna,
del trapanese, dell'agrigentino,
quelli delle colline delle
aree interne (da quelle
della Valle del Belice
a quelle delle altre zone
dell'entroterra), ognuno
di questi rossi di nuova
o vecchia costituzione
è portatore di
una propria personalità,
di un messaggio che parte
dall'angolo della Sicilia
dove ha preso origine
per arrivare alle mense
di tutto il mondo.Si tratta
di vini eccezionali, già
dopo il loro processo
di vinificazione, perfettamente
gradevoli e bevibili:
per tanti di questi vini
il passaggio in barrique,
anche di pochi mesi, è
un ulteriore elemento
che contribuisce a renderli
ancora più grandi,
migliorandone le caratteristiche
organolettiche e conferendo
agli stessi un tocco di
eleganza.I viticoltori
siciliani, prendendo spunto
dai loro cugini d'Oltralpe,
indiscussi esperti su
come ottenere il buon
vino, ricorrono sempre
più di frequente
per la maturazione del
vino all'uso di queste
botti di legno, meglio
se di rovere, dal momento
che le stesse conferiscono
ai vini note di legno
morbide e speziate molto
apprezzate dai consumatori
più evoluti.
I
vini dell'Etna
Attualmente
quella dell'Etna è
considerata, dagli esperti,
una delle aree più
interessanti da un punto
di vista enologico, tanto
da fare affermare ad un
celebre enologo di fama
internazionale come Giacomo
Tachis: ìl'Etna
per me non è soltanto
un vulcano di fiamme e
di eruzioni, ma è
anche un vulcano di potenziali
qualità del vino.
Ha sia un microclima sia
un microsuolo eccezionalmente
variegati, una varietà
unica di fattori pedoclimatici
che permette di fare una
somma di vini completaì.I
vigneti situati sull'Etna
sono territori unici per
il paesaggio straordinario
che offrono alla nostra
vista e per la ricca mitologia
e storia di cui sono testimoni.
Sull'Etna, si produce
davvero il ìvino
del fuocoì.In quest'area
la viticoltura si sviluppa,
in pochi chilometri quadrati,
a semicerchio sulle pendici
del vulcano, dalle rive
del Mediterraneo alle
propaggini dell'alta montagna,
e per le sue caratteristiche
e il suo terroir particolarmente
favorevoli, può
esprimersi molto bene
anche con vitigni che
hanno avuto i loro massimi
successi molto più
a nord, come il Pinot
Nero ed il MŸller Thurgau.Il
vino del vulcano disciplinato
attualmente è l'Etna
Doc (quasi 9.000 ettolitri
la produzione annua),
prodotto nelle tipologie
rosso, rosato, bianco,
bianco superiore. L'Etna
rosso, la versione più
interessante, è
un vino potente, scuro
come le rocce laviche,
concentrato, persistente
e caldo al gusto come
il magma del vulcano,
ma morbido al contempo
intensamente profumato
di frutta rossa matura,
cassis e more e reso complesso
da una speziatura dolce-piccante.
L'intrigante Etna è
stato il primo vino dell'isola
- Marsala a parte - a
vedersi riconoscere la
denominazione d'origine
nel lontano 1968 ed è
oggi la Doc sulla quale,
assieme a quella del Cerasuolo
di Vittoria, puntano i
riflettori i tecnici dell'Istituto
regionale della Vite e
del Vino, e non solo loro,
al fine di una rivisitazione
ed una attenta disamina
del magnifico terroir
etneo.
I
vini Novelli
La
Sicilia enologica dimostra
di sapersi adattare bene
non solo ai gusti dei
consumatori più
raffinati ed evoluti,
ma anche a quelli delle
giovani generazioni che
si apprestano ad affacciarsi
alla conoscenza del vino.
Lo ha dimostrato in questi
anni producendo degli
ottimi vini novelli. L'isola
ha delle grandi potenzialità
nella produzione di questi
vini, detti di 'primo
fervore' e questo grazie
alle condizioni pedoclimatiche
particolarmente favorevoli,
alla produzione di novelli
di pregevole livello qualitativo
e dotati di una spiccata
personalità mediterranea.
Il clima caldo matura
bene l'uva e l'acido malico
che li rende aspri e acerbi
fa presto a trasformarsi
facendo diventare i novelli
più buoni, profumati,
delicati e un po' frizzanti,
proprio come devono essere.Attualmente
sono ventitre le aziende
produttrici isolane per
un quantitativo di oltre
un milione di bottiglie
solo per il 2000. Su questi
vini c'è un forte
interesse anche da parte
dei tecnici dell'Irvv,
che stanno portando avanti
un'intensa attività
di sperimentazione nella
cantina sperimentale di
microvinificazione G.
Dalmasso, applicando due
diverse tecniche (macerazione
carbonica e macerazione
classica) su cinque varietà
differenti di uva provenienti
da quattro zone diverse:
Nero d'Avola di Riesi;
Perricone o Pignatello
di Trapani; Frappato e
Syrah di Vittoria e Nerello
Mascalese dell'Etna.L'attenzione
nei riguardi dei Novelli
nasce dal fatto che questi
vini, al di là
dell'aspetto commerciale,
svolgono un ruolo propedeutico
nei riguardi dei giovani
e dei profani del vino.La
loro freschezza, morbidezza,
non complessità,
fragranza e profumi li
rendono particolarmente
confacenti ai gusti di
quelle fasce che amano
un berepiù disimpegnato
anche se, nei prossimi
anni, non è da
escludere che questo giovane
prodotto possa sviluppar-si
al punto tale da conquistare
anche gli amanti dei vino
classico.
I
vini dolci e liquorosi
La
Sicilia non è solo
produttrice di grandi
vini da tavola, ma anche
di ottimi vini liquorosi
come i Moscati di Noto
e Siracusa, la Malvasia
delle Lipari e i Moscati
e passiti di Pantelleria.
I Moscati di Noto e Siracusa,
seppur prodotti in quantità
limitate trasudano di
fascino e si caratterizzano
per il delicato ma deciso
profumo mielato, agrumi
canditi, albicocca, uva
passa, confettura. Caldi
al gusto, dolci ma armonici,
assai suadenti e persistenti,
si congiungono mirabilmente
alla pasticceria locale.Il
vino Malvasia prodotto
in quel luogo paradisiaco
che è l'arcipelago
delle Lipari fa parte
anch'esso delle produzioni
di pregio. Diodoro Siculo
nel IV secolo A.C. lo
denominò 'nettare
degli Dei'. é un
vino Doc, naturalmente
dolce, prodotto con uve
Malvasia (95%) e con uve
Corinto nero (5%) e si
sposa felicemente a dolci
e biscotti secchi e dolciumi
a base di pasta di mandorle
o a formaggi di sapore
deciso. Nel 1890 il grande
romanziere francese Guy
de Maupassant così
parla del vino di Malvasia
delle Lipari nell'opera
"La vita erranteì:
"Sembra sciroppo
di zolfo. é proprio
il vino dei vulcani, denso,
zuccherato, dorato e con
un tale sapore di zolfo
che vi rimane al palato
fino a sera: il vino del
diavoloì. Le moderne
tecnologie in simbiosi
alla millenaria tradizione
eoliana, hanno conferito
al Malvasia delle Lipari
una particolare fragranza
che unite a un sapore
caldo e vellutato, lo
rendono uno dei più
eccellenti vini da dessert.Il
celebre Moscato di Pantelleria
(la cui produzione attualmente
si aggira sui 6.400 ettolitri),
invece, è prodotto
nell'isola da tempo immemorabile,
ma solo nel 1883 cominciò
a essere conosciuto al
di fuori dei suoi confini
incontrando, ben presto,
grande favore in tutta
la Sicilia, dove era ed
è in uso la consuetudine
di berlo l'11 novembre,
in occasione della festa
di S. Martino. Premiato
nel 1900 all'Esposizione
di Parigi, nel 1936 fu
inserito tra i vini tipici
italiani per il suo aroma
delicato e fine e per
il suo sapore vellutato,
dolce, carezzevole, generoso.
Nel 1971, terzo tra i
vini siciliani, ottenne
la Doc. Questo vino si
sposa bene a crostate
di frutta fresca e paste
con creme delicate. La
sua prorompente sensualità
è legata in modo
inscindibile alle selvagge,
dure, umorali caratteristiche
ambientali e climatiche
di Pantelleria. Senza
il fiero e determinato
sole isolano che insieme
al torrido vento solca
le rughe dei vignaioli
dell'isola e fa raggrinzire
le bacche delle uve Zibibbo
arricchendole di colore,
gli aromi presenti in
questo vino (sentori di
albicocca che lasciano
il passo a profumi di
datteri e che a loro volta
introducono una fragranza
di fichi secchi, di cedro
candito, di rosa appassita)
certo non potrebbero assumere
certe concentrazioni e
caratteristiche particolari.
Tasca
D'Almerita Chardonnay
'00
Bianco Sicilia, I.G.T.
Zona
di Produzione
Tenuta
di Regaleali, di proprietà
del produttore.E'
situata in un'area collinosa
tra le province di Palermo
e Caltanissetta, ad un'altitudine
che varia dai 450 ai 650
metri. Si estende su 460
ettari, 200 dei quali
coltivati a vite.
Terreno
Argilloso
e di medio impasto con
reazione alcalina dovuta
al calcare libero. Piovosità
media, inverno freddo,
primavera ed estate calde.
Vitigni Chardonnay in
purezza esposti Ovest,
Sud/Ovest. Coltivazione
Collina si San Francesco
di ha.4.50 impianto a
spalliera. Ovest - Sud
- Ovest Clima Piovosità
buona (600 mm), inverno
freddo, primavera mite,
estate molto calda. Vendemmia
4 e 5 settembre 1998 Vinificazione
In barili di rovere francese
(Allier e Tronçais)
da 350 litri. Affinamento
In barili di rovere francese
(Allier e Tronçais)
da 350 litri, per il 50%
nuovi e per il 50% al
secondo passaggio, per
6 mesi; in bottiglia per
6 mesi. IMBOTTIGLIATO
in circa 50.000 bottiglie.
Prezzo Unitario L. 51000
(€ 26,34)(IVA 20% inclusa)
Degustazione Delicato,
morbido con sentori di
agrumi; al gusto pieno
e molto persistente. Grado
Alcolico 13.5 Vol. Modo
Conservazione Migliora
nel tempo in condizioni
di conserva ideali. tipo
Bianco Annata 2000
Già ai tempi della
conquista di Druso (15
A.C.) in Alto Adige veniva
coltivata la vite.Il momento
di grande slancio arriva
però dopo la caduta
dell'Impero Romano con
l'occupazione da parte
dei bavari. La viticultura
venne strutturata in modo
differente, godette di
un nuovo impulso e di
un nuovo mercato.Durante
il Medio Evo la viticoltura
visse il suo periodo di
massimo splendore. Il
vino era considerato medicina,
bevanda principale e veniva
miscelato all'acqua per
renderla potabile.Il grande
periodo di decadenza arrivò
alla fine del 19. secolo,
dovuto al pidocchio della
vite ed alle nuove malattie
fungine, solo dopo avere
sanato queste grosse piaghe
il settore si rianimò
lentamente.La crisi successiva
per la viticoltura si
ebbe nel 1919, con il
passaggio all'Italia dell'Alto
Adige.Le zone di vendita
del nord furono perdute,
l'Italia produceva già
da se abbastanza vino
rosso e la Svizzera divenne
il maggiore acquirente
dei vini dell'Alto Adige.
Col tempo anche la Germania
e l'Austria ne trassero
vantaggio.All'Inizio degli
anni 80, con il boom della
vendita di vini di bassa
qualità prodotti
in massa il mercato collassò.Oggi
si scommette sulla qualità
e su certe uve tipiche
del luogo, per esempio
il Lagrein.Nel frattempo
l'Alto Adige è
diventato una terra di
produzione enologica famosa
in tutto il mondo, produttore
di vini di qualità,
dove è possibile
riconoscere una antica
cultura enologica!
Storia e Tradizioni
Punto d'incontro, nei
secoli, tra civiltà
e culture diverse, pur
conservando una propria
identità, terra
soprattutto contadina,
seria, paziente, ricca
di tradizioni ma che sa
anche essere ospitale
e aperta, il Trentino
Alto Adige è una
regione che offre al visitatore
accorto delle bellezze
naturali incomparabili.
Grandi gruppi montuosi
dalle cime perennemente
innevate, fitte e lussureggianti
foreste, numerosi laghi,
piccoli e grandi, dai
nomi e dai colori romantici,
distese di prati alpini
ricchi di fiori ed erbe
profumate; ma anche bellezze
architettoniche, castelli,
palazzi e tanti piccoli
villaggi montani dove
il tempo pare si sia fermato.
La vite coltivata nelle
vallate diviene un tutt'uno
con il paesaggio in un'ordinata
sequenza di pergolati
e filari, spesso abbarbicati
su ripidi pendii sostenuti
da piccoli muretti di
sassi, che con la loro
perfezione geometrica
seguono armonicamente
il disegno delle colline.
Queste caratteristiche
morfologiche così
varie creano diversi microambienti
sia per quanto riguarda
la composizione dei terreni,
sia per il differente
clima, che permettono
la coltivazione di numerosi
vitigni, locali e autoctoni.
Le forti escursioni termiche
fra il giorno e la notte,
nel periodo prima della
vendemmia, favoriscono
inoltre la formazione
di eleganti profumi, che
vengono esaltati poi dalla
freschezza dei vini. Per
questi fattori e per l'antica
tradizione plurisecolare
che accompagna la produzione
enologica di queste terre,
il vino trentino - alto
atesino si differenzia
e caratterizza rispetto
ad altre zone viticole
con una personalità
particolare ed inconfondibile
che, nella molteplicità
delle varie tipologie,
permette di accompagnare
qualsiasi tipo di piatto
o preparazione gastronomica.
Nella zona subalpina forme
selvatiche di vite erano
presenti sin dall'inizio
del Terziario. Nonostante
l'azione devastatrice
delle successive epoche
glaciali, la vite silvestre
riuscì a ridiffondersi
e ad essere avviata ad
una rudimentale coltivazione
dalle comunità
umane presenti. A conferma
di questo si possono ricordare
i reperti risalenti all'età
del Bronzo rinvenuti nelle
zone palafitticole del
Garda, di Ledro e di Fiavè.
A queste viti autoctone
vennero progressivamente
a sovrapporsi o a mescolarsi
le varietà di vite
originarie dell'area caucasica.
Nella Penisola, compresa
la zona subalpina, le
forme selvatiche subirono
dunque un'azione di ibridazione
naturale ed una costante
pressione e selezione
ad opera dell'uomo, fino
ad evolversi nelle varietà
coltivate. L'asta atesina
(Valle dell'Adige) fu
interessata anche dalla
trasmigrazione dei Celti
provenienti d'oltralpe.
In particolare alcuni
nuclei celtici dei Galli
colonizzarono le pendici
delle Prealpi Bresciano
- Veronesi per poi stabilirsi
nella Valle dell'Adige
ove affiancarono alla
costruzione di insediamenti
urbani e di altre attività
economico agricole la
coltivazione della vite
e la produzione ed il
commercio del vino
La successiva presenza
romana agì nel
solco della precedente
tradizione stimolando,
come altrove, il perfezionamento
delle tecniche di coltivazione
e di trasformazione. Di
questa fiorente attività
ne sono testimonianza
numerose opere letterarie
della civiltà classica
(Svetonio, Tubillio, Plinio,
Catone, etc)
La tradizione vitivinicola
atesina subì una
contrazione in coincidenza
dello sfaldamento dell'Impero
Romano e delle invasioni
barbariche. Nei secoli
XV e XVI si assistette
all'introduzione e diffusione
di vitigni particolari
come il Marzemino in Val
Lagarina. Grazie allo
straordinario evento del
Concilio di Trento (1545
- 1653) ed all'opera del
Mariani, che del Concilio
fu attento cronista, i
vini trentini divennero
conosciuti ed apprezzati
anche al di fuori dei
locali confini.
La seconda metà
dell'ottocento fu caratterizzata
dalla penetrazione di
tre avversità devastanti
quali l'oidio, la peronospera
e la fillossera che determinarono
alcuni anni di crisi profonda
in molte regioni europee.
Preminente , nella rinascita
viticola post - fillosserica,
fu il ruolo esercitato
dall'Istituto Agrario
di San Michele all'Adige,
istituzione fondata nel
1874 e tuttora elemento
ispiratore della viticoltura
e dell'agricoltura del
territorio atesino.
Visitiamo il territorio
e le sue produzioni:
La viticoltura trentina
si estende su una superfice
di circa 12.810 ettari.
La produzione di vino
è di circa 953.000
ettolitri all'anno il
45% è bianco e
il 55% è nero,
il 79,1% è a DOC.,
la maggior parte dei quali
(80 %) è gestita
dalle cantine cooperative.
Contestualmente esiste
una nutrita schiera di
aziende vitivinicole di
medio - piccole dimensioni
"i vignaioli"
che sta sviluppando un
ottimo lavoro di valorizzazione
delle peculiarità
locali.
Sui pendii e le colline
della Val d'Adige fra
Merano e Salorno, e nella
Valle d'Isarco fra Bolzano
e Bressanone, i vigneti
caratterizzano fortemente
il paesaggio.
Solo i vigneti del Lagrein
nel quartiere di Gries
a Bolzano, e quelli all'estremo
sud della provincia in
corrispondenza di Salorno,
si estendono in pianura.
Da alcuni anni, anche
la media e bassa Val Venosta
sta vivendo una fase di
rilancio come più
"giovane" zona
a DOC dell'Alto Adige.
Alla nota e spesso decantata
varietà del paesaggio
altoatesino corrisponde
una varietà altrettanto
ampia di uve. Una ricchezza
di vitigni che è
senza dubbio il risultato
di condizioni climatiche
eccezionalmente favorevoli
e della composizione dei
suoli nelle diverse zone.
Tre sono i vitigni e i
vini autoctoni dell'Alto
Adige: la Schiava, il
rosso più tipico
e diffuso dell'Alto Adige,
il Traminer aromatico,
oggi conosciuto in tutto
il mondo e il Lagrein
scuro, un riscoperto vino
di spessore internazionale.
Da circa un secolo si
coltivano però
in Alto Adige anche altri
importanti vitigni "internazionali":
Pinot nero, Merlot, Cabernet
sauvignon e franc, Pinot
bianco, Chardonnay, Pinot
grigio, Silvaner, Müller-Thurgau,
Riesling, Sauvignon, Veltliner
verde e Kerner. Il moscato
rosa, una specialità
dell'Alto Adige e il moscato
giallo come vini da dessert
completano la gamma. A
ciò si aggiungono
poi circa 200.000 bottiglie
di Spumante Alto Adige
di qualità a base
di uve Pinot bianco, Chardonnay
e Pinot nero secondo il
metodo tradizionale della
rifermentazione in bottiglia.
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